Il lavoro nella tenuta era monotono. Si doveva iniziare alle 8, ma nessuno ci credeva davvero. Soprattutto lei, che non scendeva mai prima delle 9. Se ci andava bene, ci mandava un messaggio sul gruppo per dirci cosa fare e cosa raccogliere per la consegna del mercoledì a Siviglia. Altrimenti, si andava avanti per inerzia, aspettando i suoi ordini.
Bisognava annaffiare il giardino intorno alla casa e le varie piante e alberi. Preparavamo le cassette e si scendeva all’orto con la macchina. La raccolta iniziava con i fiori di zucca, perchè erano aperti solo di prima mattina e bisognava raccogliere solo i fiori maschi.
Dopo, si passava ai pomodori, grandi e cherry, di varie qualità. La maggior parte erano varietà importate dall’America, mai viste prima. Si tornava, procedendo con la pulizia dei fiori di zucca: con un pennello e una pinzetta, si toglievano gli insetti e la terra; poi si mettevano nei contenitori, già contati e pronti per la vendita e, infine, riposti in frigorifero. I pomodorini, scelti con cura, dovevano essere perfetti, belli esteticamente. Dopo, ognuno aveva i suoi compiti. Alcuni andavano a raccogliere i litchi o i fichi (che solitamente raccoglievamo a casa di vicini), altri tornavano all’orto per melanzane, zucchine o mais. Le erbacce crescevano ovunque, quest’anno la paglia costava troppo e non l’aveva messa. Così ci divertivamo a strapparla.
Chiara una volta ha raccolto i fiori commestibili con la madre, anche questi poi suddivisi in vaschettine alimentari pronte alla vendita. Altre volte piantavamo basilico e/o altri fiori nel piccolo giardino accanto alla casa; raramente preparavamo marmellate o passata di pomodori. Il mercoledì era il giorno di consegna. Tutto il raccolto veniva pesato, suddiviso e messo nelle cassette. Poi, a turno, qualcuno accompagnava T a Siviglia. Si girava in macchina per le strade del centro, segnando i clienti fatti e consegnando le fatture. Se le cassette erano molte o il parcheggio lontano, si aiutava con il trasporto. Infine la spesa per i volontari al Mercadona.
Una volta alla settimana c’era “la classe”: un’ora di spiegazioni sull’agricoltura in generale, tecniche di coltivazione, concimazione, su come insetti e malattie possono manifestarsi e rovinare o migliorare la pianta. Sembrava interessante, e in effetti lo era. Abbiamo imparato un sacco di cose nuove. Un’infarinatura generale su argomenti che ci saranno utili in futuro.
I suoi prodotti, però, non ci piacevano. Assaggiando le verdure, ci siamo resi conto di quanto fossero insapore. E non solo, ci facevano stare male dopo averle mangiate. Questo lavoro può farlo chiunque, ma se sbagli anche solo un ingrediente, il risultato può essere disastroso. Bisogna prendersi cura del terreno dall’inizio alla fine, ottimizzare gli spazi e le piante. Tutto deve essere studiato e fatto con precisione, non lasciando nulla al caso. Per questo serve tanto studio, informazione e interesse.
Abbiamo tolto piante infestanti con radici profonde, alte quanto le piante stesse. Nella “giungla” molte piante erano sotterrate o morte, schiacciate dalle erbacce. Nella maggioranza dei casi, non c’erano paletti per tenerle in piedi, così il frutto pesante spezzava il ramo. Non c’era un’organizzazione ben precisa sulla disposizione e gli spazi per passare erano minimi. A volte ti ritrovavi a schiacciare gli ortaggi stessi.
Il lavoro non era impostato e organizzato bene. Eravamo sette persone allo sbando, lavorando come se fossimo una sola. In quelle ore avremmo potuto fare molto di più di quello che facevamo, ma T non c’era mai a motivarci o a lavorare con noi. Non dava ordini precisi e chiari. A volte ci ritrovavamo con le mani in mano, aspettando di sapere cosa fare, magari facendo cose inutili giusto per non stare fermi.
Tutto andava a caso, in base a chi si trovava davanti o a preferenze. Eravamo un gruppo che all’inizio non si rivolgeva parola. Ognuno era padrone di se stesso. Tranne l’americano, che provava a fare il “boss” della situazione, con scarsi risultati. Anzi, peggiorava le cose.
Ogni settimana c’era un compito che ci rifiutavamo di fare: pulire la piscina, poi diventato il lavoro per l’americano, il cocco del capo. Non era roba nostra, non riguardava il nostro lavoro nei campi. Chi avrebbe mai voluto usare quella piscina? Se la casa era un porcile, la piscina era un pantano.
Dal canto nostro, ci siamo buttati a capofitto sul mondo che ci circondava, cercando di imparare il più possibile. Ma alla fine, siamo rimasti delusi. Ci aspettavamo di più. Certo, abbiamo imparato qualche tecnica, qualche trucco del mestiere, ma soprattutto abbiamo imparato cosa non fare mai.
La sua attività, era un mondo di mini zucchine/melanzane e fiori di zucca. Tutto era mini, tutto era perfetto, tutto era...una stronzata. I ristoranti pagavano cifre assurde per queste decorazioni, queste piccole meraviglie estetiche che non avevano altro scopo se non quello di abbellire un piatto.
Le piante di zucchine crescevano a perdita d’occhio, ma le zucchine? Quelle marcivano nei campi. Nessuno si prendeva la briga di raccoglierle. Non servivano a niente, troppo grandi per essere vendute. Era tutto per quei fiori, quei dannati fiori di zucca. Se un pomodorino aveva una righetta, una piccola imperfezione? Via, scartato. Colori brillanti e sapori insipidi. Tutta estetica e niente sostanza.
Sapevamo che vendeva, ma non l’avrei mai chiamata un’azienda. Con la filosofia dell’autosufficienza di F (la precedente esperienza), i suoi prodotti e la cura con cui produceva, c'era un abisso, due mondi completamente diversi.
Bisognava annaffiare il giardino intorno alla casa e le varie piante e alberi. Preparavamo le cassette e si scendeva all’orto con la macchina. La raccolta iniziava con i fiori di zucca, perchè erano aperti solo di prima mattina e bisognava raccogliere solo i fiori maschi.
Dopo, si passava ai pomodori, grandi e cherry, di varie qualità. La maggior parte erano varietà importate dall’America, mai viste prima. Si tornava, procedendo con la pulizia dei fiori di zucca: con un pennello e una pinzetta, si toglievano gli insetti e la terra; poi si mettevano nei contenitori, già contati e pronti per la vendita e, infine, riposti in frigorifero. I pomodorini, scelti con cura, dovevano essere perfetti, belli esteticamente. Dopo, ognuno aveva i suoi compiti. Alcuni andavano a raccogliere i litchi o i fichi (che solitamente raccoglievamo a casa di vicini), altri tornavano all’orto per melanzane, zucchine o mais. Le erbacce crescevano ovunque, quest’anno la paglia costava troppo e non l’aveva messa. Così ci divertivamo a strapparla.
Chiara una volta ha raccolto i fiori commestibili con la madre, anche questi poi suddivisi in vaschettine alimentari pronte alla vendita. Altre volte piantavamo basilico e/o altri fiori nel piccolo giardino accanto alla casa; raramente preparavamo marmellate o passata di pomodori. Il mercoledì era il giorno di consegna. Tutto il raccolto veniva pesato, suddiviso e messo nelle cassette. Poi, a turno, qualcuno accompagnava T a Siviglia. Si girava in macchina per le strade del centro, segnando i clienti fatti e consegnando le fatture. Se le cassette erano molte o il parcheggio lontano, si aiutava con il trasporto. Infine la spesa per i volontari al Mercadona.
Una volta alla settimana c’era “la classe”: un’ora di spiegazioni sull’agricoltura in generale, tecniche di coltivazione, concimazione, su come insetti e malattie possono manifestarsi e rovinare o migliorare la pianta. Sembrava interessante, e in effetti lo era. Abbiamo imparato un sacco di cose nuove. Un’infarinatura generale su argomenti che ci saranno utili in futuro.
I suoi prodotti, però, non ci piacevano. Assaggiando le verdure, ci siamo resi conto di quanto fossero insapore. E non solo, ci facevano stare male dopo averle mangiate. Questo lavoro può farlo chiunque, ma se sbagli anche solo un ingrediente, il risultato può essere disastroso. Bisogna prendersi cura del terreno dall’inizio alla fine, ottimizzare gli spazi e le piante. Tutto deve essere studiato e fatto con precisione, non lasciando nulla al caso. Per questo serve tanto studio, informazione e interesse.
Abbiamo tolto piante infestanti con radici profonde, alte quanto le piante stesse. Nella “giungla” molte piante erano sotterrate o morte, schiacciate dalle erbacce. Nella maggioranza dei casi, non c’erano paletti per tenerle in piedi, così il frutto pesante spezzava il ramo. Non c’era un’organizzazione ben precisa sulla disposizione e gli spazi per passare erano minimi. A volte ti ritrovavi a schiacciare gli ortaggi stessi.
Il lavoro non era impostato e organizzato bene. Eravamo sette persone allo sbando, lavorando come se fossimo una sola. In quelle ore avremmo potuto fare molto di più di quello che facevamo, ma T non c’era mai a motivarci o a lavorare con noi. Non dava ordini precisi e chiari. A volte ci ritrovavamo con le mani in mano, aspettando di sapere cosa fare, magari facendo cose inutili giusto per non stare fermi.
Tutto andava a caso, in base a chi si trovava davanti o a preferenze. Eravamo un gruppo che all’inizio non si rivolgeva parola. Ognuno era padrone di se stesso. Tranne l’americano, che provava a fare il “boss” della situazione, con scarsi risultati. Anzi, peggiorava le cose.
Ogni settimana c’era un compito che ci rifiutavamo di fare: pulire la piscina, poi diventato il lavoro per l’americano, il cocco del capo. Non era roba nostra, non riguardava il nostro lavoro nei campi. Chi avrebbe mai voluto usare quella piscina? Se la casa era un porcile, la piscina era un pantano.
Dal canto nostro, ci siamo buttati a capofitto sul mondo che ci circondava, cercando di imparare il più possibile. Ma alla fine, siamo rimasti delusi. Ci aspettavamo di più. Certo, abbiamo imparato qualche tecnica, qualche trucco del mestiere, ma soprattutto abbiamo imparato cosa non fare mai.
La sua attività, era un mondo di mini zucchine/melanzane e fiori di zucca. Tutto era mini, tutto era perfetto, tutto era...una stronzata. I ristoranti pagavano cifre assurde per queste decorazioni, queste piccole meraviglie estetiche che non avevano altro scopo se non quello di abbellire un piatto.
Le piante di zucchine crescevano a perdita d’occhio, ma le zucchine? Quelle marcivano nei campi. Nessuno si prendeva la briga di raccoglierle. Non servivano a niente, troppo grandi per essere vendute. Era tutto per quei fiori, quei dannati fiori di zucca. Se un pomodorino aveva una righetta, una piccola imperfezione? Via, scartato. Colori brillanti e sapori insipidi. Tutta estetica e niente sostanza.
Sapevamo che vendeva, ma non l’avrei mai chiamata un’azienda. Con la filosofia dell’autosufficienza di F (la precedente esperienza), i suoi prodotti e la cura con cui produceva, c'era un abisso, due mondi completamente diversi.
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