15\05\24
Oggi abbiamo deciso di liberarci di un po’ di peso morto, sì, proprio lui, il perro. Lo abbiamo portato al parco per farlo sfogare, facendolo correre come un idiota tra gli alberi e l’erba secca. Poi, siamo tornati, lasciandolo lì con la lingua penzolante e quegli occhi che sembravano implorare pietà. Povera bestia.
Abbiamo preso le biciclette e ci siamo diretti al Mercato Centrale. Legato le bici all’entrata, ci siamo immersi in questo tempio del consumismo turistico. Tutto costoso, tutto una trappola per turisti che si fanno fregare con gioia, ma almeno l’edificio è un piacere per gli occhi, con tutte quelle decorazioni che richiamano i frutteti di Valencia.
Un giro in bici per il centro ha aggiunto un tocco diverso alla giornata. Abbiamo provato i “fartons”, dolci tipici valenciani. Brioche lunghe e sottili ricoperte di zucchero a velo. Non le ricomprerei, non sapevano di niente. Poi, una sosta alla Decathlon perché Chiara voleva un cappellino. Non l’ha trovato, la qualità è sempre la stessa, scadente, ma i prezzi sono saliti. Con qualche euro in più, trovi roba di qualità superiore. Sulla via del ritorno, ci siamo fermati al parco per una veloce partita a ping pong prima di tornare dal cane, che ci aspettava scodinzolando. Un premietto di carne e un altro giro a piedi con lui. La serata si è conclusa con la consapevolezza che questa è stata una delle ultime visite alla città.
16\05\24
È l’ultimo giorno. Questo posto ci sta succhiando l’anima, come un buco nero che non si può vedere ma si può sentire. La strada ci chiama, un richiamo che non si può ignorare. Un ultimo giro, un ultimo sguardo, poi una cena d’addio, la prima volta che mangiamo fuori da quando siamo partiti.
Giriamo per ore, rivedendo monumenti, edifici, strade e stradine. Moriamo di fame, come sempre. Lo stomaco brontola, i morsi della fame ci tormentano. Ovunque cibo, ma niente che ci ispiri. Cosa mangiano gli spagnoli? Paella, tortillas de patatas, gazpacho, churros, tapas. Però i ristoranti sembrano quasi tutti trappole per turisti. Ancora non siamo entrati totalmente nella loro cultura e quindi non riusciamo a capire e apprezzare il concetto di tapas, piccole porzioni di cibo accompagnate da birra o vino. Una leggenda dice che il re Alfonso XIII si fermò in un bar e il barista coprì il suo bicchiere di vino con una fetta di prosciutto per proteggerlo dalla sabbia. Il re apprezzò e così nacquero le tapas. Che leggenda bizzarra. Scopriamo che hanno un termine per questo: “tapear”, andare di bar in bar, ordinando ogni volta un drink e qualcosa da mangiare. Forse un giorno proveremo anche noi, se troviamo l’ispirazione giusta.
Ma il problema rimane: ho fame. Penso a un bel buffet, prezzo fisso all you can eat, per farsi del male. Se devo mangiare roba mediocre, almeno faccio fuori mezzo ristorante. Chiara per fortuna mi appoggia in queste scelte discutibili. Torniamo a casa, molliamo Axel, prendiamo le bici e attraversiamo il Turia fino alla Città della Scienza. Ci aspetta un centro commerciale e dentro c’è “Neco”, un ristorante a buffet di cibo tipico spagnolo. Mi metto d’impegno e mangio ininterrottamente. Mai mangiato così tanto in vita mia. E non sto neanche male, voto 10+. Le soddisfazioni della vita, quelle belle. Non ti costringono neanche a prendere la bevanda se non la chiedi tu, e noi avevamo l’acqua in borsa. La nostra sopravvivenza alla povertà è diventata professionale.
Dopo aver riempito la pancia, è difficile deambulare, ma siamo felici. Torniamo pedalando con il fresco della sera lungo tutto il parco, cantando canzoni italiane a squarciagola e ridendo stupidamente per niente. Un’ultima giornata magica. Grazie Valencia.
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