Arriviamo a Coimbra e parcheggiamo in mezzo al nulla, circondati da qualche camper. Piove a dirotto. Intrappolati nel camper, aspettiamo che la pioggia smetta, ma non smette mai. La città è a venti minuti, ma sembra un’eternità. Appena accenna a smettere, corriamo fuori come due leoni che vogliono azzannare la gazzella. Attraversiamo un ponte colorato sul fiume Mondego, ci ritroviamo in un parco enorme con piste ciclabili, passerelle di legno, ristoranti e locali che cercano disperatamente di sembrare vivaci. Ci sono centri per affittare tavole da SUP e canottaggio.
Coimbra è una città universitaria, piena di giovani che sognano di diventare qualcuno. Vagano per il centro con la testa piena di libri e speranze, tra locali che cercano di attirare con serate e cibo a prezzi bassi e case che hanno visto giorni migliori. Qualche organizzazione studentesca qua e là, qualche battaglia da combattere, simboli antifascisti, anarchici e di azione diretta ovunque. Scritte e striscioni sparsi lungo le abitazioni e la città. L’università, fondata nel 1920, è una delle più antiche d’Europa. Un privilegio studiare qui.
Io e Chiara ci perdiamo in fantasie su cosa avremmo fatto se avessimo preso strade diverse, con un grande “senno di poi” e un po’ di rimpianti che fanno capolino. Io avrei voluto fare l’artistico, Chiara il linguistico. Ma non è mai troppo tardi per i sogni, giusto? Forse ci ritroveremo all’università della terza età quando saremo vecchi, io in qualche laboratorio a cercare di risolvere i rompicapo dei primati. Che bel futuro.
Ci addentriamo nel centro storico, che si erge su una collina . Attraversiamo un vecchio arco delle mura medievali che segna l’ingresso alla parte antica di Coimbra. Sopra l’arco c’è la torre di Almedina, un tempo punto di osservazione e difesa, ora solo un altro pezzo di pietra che nessuno guarda. Il centro storico è un labirinto di stradine medievali, vicoli stretti e acciottolati, palazzi con facciate storiche e dettagli architettonici di varie epoche, alcuni ora trasformati in istituti universitari. Troviamo un centro culturale dedicato al Fado di Coimbra, dove si possono vedere spettacoli e scoprire la storia.
Ci sono molte chiese, ma le due più importanti sono la Sè Velha e la Sè Nova. Non ci fermiamo a vedere l’interno, Entriamo invece nell’Università, un complesso che sembra un museo. La Biblioteca Joanina è piena di libri antichi e manoscritti rari, tesori polverosi che fanno scena. Il Páteo das Escolas, il cuore dell’università, con edifici storici e la Torre dell’Università, formano un bel quadretto.
L’università, fondata con quattro facoltà (Teologia, Diritto Canonico, Diritto Civile e Medicina), nel 2013, è stata dichiarata Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.
Gli studenti indossano il traje académico, un abbigliamento tradizionale che comprende un mantello nero, simbolo di uguaglianza tra gli studenti, indipendentemente dal loro background sociale. Gli uomini in completo nero con cravatta, le donne con gonna nera, camicia bianca e cravatta nera. Ogni elemento del traje ha un significato simbolico: il mantello rappresenta la protezione e l’unità, la cravatta la disciplina e il rispetto.
Coimbra, con le sue tradizioni studentesche, sembra uscita da un’altra epoca. Ecco alcune delle più significative:
Queima das Fitas: alla fine dell’anno accademico, gli studenti che si laureano bruciano i nastri colorati delle loro facoltà in un grande falò. È un rito di passaggio, un addio al passato e un saluto al futuro.
Latada: una festa di benvenuto per i nuovi studenti. Vengono “battezzati” dai loro colleghi più anziani. La festa culmina in una parata per le strade, con studenti in costumi eccentrici che fanno rumore con lattine legate. Un inizio rumoroso per una nuova avventura.
Serenatas Monumentais: durante la Queima das Fitas, gli studenti si riuniscono davanti alla Sé Velha per ascoltare serenate di fado. La musica riempie l’aria, un momento di quiete e riflessione nel mezzo del tumulto delle celebrazioni.
Praxe: un insieme di rituali e attività di integrazione per i nuovi studenti. Giochi, sfide e cerimonie che sembrano più torture medievali che attività di benvenuto. Chi non ama un po’ di umiliazione pubblica?
Dopo aver girato tutta la città, ci fermiamo in un negozio di macchine fotografiche per far vedere la nostra Nikon. Come previsto, il tizio ci dice che è un problema interno e che va portata in un centro Nikon, dove ci metteranno fino a 4 settimane per sistemarla. Non ci resta che rassegnarci e aspettare di tornare in Italia per farla aggiustare. Niente può mai andare liscio.
Attraversiamo il parco, diretti al camper, quando ci imbattiamo in un pastore tedesco libero. Buono, voleva solo giocare, Axel non era dell’umore giusto. Con tutta la pioggia, continuava a lanciarmi terra addosso. Non avevamo voglia di stare lì. Intorno a noi, solo una ragazza cinese che prima sorrideva, poi, vedendo i cani azzuffarsi, è scappata via correndo. In lontananza, vediamo un tizio con un guinzaglio in mano. Gli urliamo con gentilezza di riprendersi il cane. Nessuna risposta. Axel si stava incazzando e noi con lui. Il pastore tedesco non voleva proprio andarsene e non riuscivamo a proseguire. Iniziamo a urlare al tizio, senza gentilezza, di riprendersi il cane. Con tutta la calma del mondo, arriva, ma non si decide a chiamare il cane, insistendo che vogliono giocare, di lasciarli in pace. Iniziamo a insultarlo e urlargli addosso in italiano, inglese, spagnolo, in tutte le lingue che conosciamo, mischiate insieme. La situazione era surreale. Dieci minuti buoni, bloccati lì, un passo e di nuovo fermi con il suo cane addosso. Dopo una sceneggiata e un nervoso da finire in ira, riesce finalmente a legarlo e noi ce ne andiamo. Messa un po’ di distanza, ci prende anche a parole perché si era dovuto sforzare a legare il suo cane.
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