26\05\24
Ecco, Alicante. Un parcheggio sterminato, un deserto di asfalto, accanto a una scuola e un parco. Ci ritroviamo in compagnia di altri camper, analizziamo la situazione con un occhio critico. Sembra sicuro. Ci troviamo lontani dal cuore pulsante della città, un accorgimento necessario per proteggere il nostro camper dai predatori urbani.
Iniziamo il nostro pellegrinaggio verso il centro, un luogo che sembra aver subito una metamorfosi dalla nostra ultima visita. Forse è il cambio di stagione; l’inverno aveva reso le strade deserte, ora invece sono invase da un’orda di persone.
Entriamo nel Parque de Canalejas, un santuario verde che ospita alberi antichi come il tempo. Le loro radici e tronchi imponenti sono un testamento silenzioso alla forza della natura.
Lasciamo il parco per la tanto decantata Explanada de España, un lungo serpentone di marmo costruito con oltre 6,5 milioni di tessere, che formano un motivo ondulato.
Le palme fanno ombra, mentre bancarelle bianche spuntano come funghi, vendendo la solita roba.
Di fronte a noi, il porto turistico, con la sua passeggiata, la Muelle de Levante. Una passerella di ferro che si innalza come un dito medio verso il mare. Anche qui, un cartello “no perros”. Ma a questo punto, siamo così stanchi di questi divieti che decidiamo di ignorarlo. Dopotutto, è solo una dannata passerella, non la Cappella Sistina.
Ci dirigiamo verso la spiaggia cittadina, Playa del Postiguet. Ricordi? Sì, ne abbiamo. Una volta, atterrati in piena notte, abbiamo dormito in una topaia fuori città e all’alba eravamo qui, soli, a guardare il mare. Ma ora? Ora siamo solo due pesci fuor d’acqua in mezzo a un mare di corpi, disorientati e privi di qualsiasi magia.
Dopo aver rischiato l’asfissia sulla spiaggia, ci avventuriamo nel centro storico. Ecco la Cattedrale di San Nicola di Bari, un altro monumento “famoso”. Sembra che ogni città europea abbia il suo cliché di San Nicola. Deve avere un buon agente pubblicitario.
Il resto? Solo strade e palazzi. Un copia e incolla di ogni altra città.
La vera attrazione è Il Castillo di Santa Barbara situato sul monte Benacantil. Ma quella è una storia per domani, oggi ho già dato.
Concludiamo con un giro nel centro, un labirinto di locali rumorosi, e poi una maratona per tornare alla base, una passeggiata notturna infinita.
27/05/24
Giorno due. Alicante. Il castello di Santa Barbara. Parte due. Axel, è con noi questa volta. 45 minuti di cammino per raggiungere l’inizio del sentiero. 50 gradi, come se stessimo camminando sulla superficie del sole. Ci rifugiamo all’ombra per dieci minuti perché Axel sembra che stia per stramazzare al suolo. Un po’ d’acqua, un po’ d’affetto, e il cane si riprende.
Il comune di Alicante permette ai cani di entrare nel castello, ma devono essere al guinzaglio e non possono entrare nelle sale. Bravo, comune di Alicante, così si fa.
Inizia il tour. Viste mozzafiato, storia, foto e… gabbiani. Sì, gabbiani. Bastardi volanti che ci hanno rovinato la serata. L’incubo inizia quando ci avviciniamo a uno di quei binocoli blu che ti fanno pagare per guardare l'orizzonte. Axel inizia ad abbaiare come un pazzo a quel binocolo. Dopo averlo calmato, iniziamo a scattare qualche foto.
Vediamo un gabbiano che ci prende di mira e ci sfreccia vicino. Ridiamo, pensando che sia una coincidenza. Ricordiamo la signora di Cagliari, terrorizzata in casa sua, incapace di uscire sul balcone a causa dei gabbiani “con il becco wo wo”, costretta a difendersi con una scopa. Il video è diventato virale, finisce con lei che sbircia fuori dalla finestra per vedere se il campo è libero. Ci identifichiamo in lei, tutto molto divertente, se solo le cose fossero rimaste così. Ma no, i gabbiani avevano altri piani per noi.
Avevano deciso di farci la guerra, facendo diventare il castello un campo di battaglia. Non eravamo più spettatori, eravamo diventati il bersaglio e loro i nostri nemici. Un attacco aereo, senza motivo. Uno di loro si stacca dal gruppo, scendendo in picchiata verso di me come un kamikaze con le piume. Mi sposto appena in tempo, sentendo l’aria vibrare accanto al mio orecchio.
Il divertimento era finito. Eravamo pronti a ritirarci, ma un altro attacco ci manda via a gambe levate. Nonostante la presenza di altre persone, l’attacco era rivolto a noi. Non mi ero mai sentito così a disagio. Sono nato e cresciuto sul mare, i gabbiani sono sempre stati una costante nella mia vita. Li avevo sempre visti come un elemento del paesaggio, mai come una minaccia. Ma quel giorno, tutto era cambiato.
Cercavamo di capire il perché. Non avevamo cibo con noi, forse c’era un nido nelle vicinanze, o forse il cane li aveva spaventati. I gabbiani sono animali territoriali, e quel punto del castello era pieno di loro.
Dovevamo parlarne con un psicanalista, soprattutto Chiara. Già prima non sopportava i gabbiani, ora era rimasta scioccata. Come una shellshock, il solo udire il loro verso in lontananza le faceva venire la pelle d’oca.
Ma perchè dico questo? Dopo aver superato quel punto, abbiamo finito di girare quel maledetto castello, godendoci la vista che offre dalla cima. Poi è arrivato il momento che aspettavo: la passeggiata sulla cinta muraria che divide la città in due. Un ricordo che mi era rimasto impresso dalla nostra visita anni fa.
Ho iniziato a scattare qualche foto , ridendo e scherzando con Chiara , quando gli attacchi sono ripresi. Mi sono dovuto buttare a terra come un soldato in trincea, i loro becchi erano così vicini alla mia faccia che potevo quasi sentirne il freddo metallico. Il panico è scoppiato come un fuoco d’artificio, arrivavano in picchiata come caccia da guerra. Abbiamo iniziato a correre come se avessimo il diavolo alle calcagna, fino a quando non siamo arrivati nei giardinetti molto più in basso, mettendo distanza tra noi e loro.
Lì ci siamo rilassati un attimo, sentendoci dei sopravvissuti. Non ho idea di cosa possa fare un gabbiano, ma vista la velocità e la mole che hanno, non credo che ne esca qualcosa di buono. Chiamiamola sopravvivenza, o chiamiamola paura, non importa. Da oggi in poi, quel posto sarà marchiato nel nostro cervello come il luogo dell’attacco dei gabbiani.
Abbandonato quel dannato castello, ci siamo ritrovati in un labirinto di casupole decrepite che sembravano uscite da un quadro di Van Gogh. Vecchie hippie con più anni sulle spalle che denti in bocca si prendevano cura di colonie di gatti.
Abbiamo esplorato l’interno: stradine strette come vene, bar e ristoranti , tavolini sulla strada . La gente passava rasente, quasi a sfiorarti mentre mangiavi. Un vero paradiso, se il tuo concetto di paradiso include l’odore di fritto misto e l’ansia da spazio personale invaso.
Ma il tempo, quel bastardo, non aspetta nessuno. Così, ci siamo ritrovati a tornare alla base. Prima di andare a letto, ho portato il cane a fare un giro. Ho notato la gente che passava con carretti attaccati alle bici o in macchina, facendo il giro dei cassonetti come avvoltoi in cerca di carogne.
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