La giornata inizia con il rituale sacro della colazione, un’ode al silenzio e ai sapori che esplodono in bocca, mentre le notizie del giorno scorrono come un fiume di fango. Politica, disastri, guerre: tutto va giù con il caffè, tranne la cronaca, quella la lasciamo agli altri.
Stavo per preparare la moka, il carburante della giornata, l’unica droga che mi rimane, ma il gas ha deciso di abbandonarci, proprio nel momento clou. La fiamma lentamente si spegne e muore, come le nostre speranze. “Tre settimane esatte dall’ultima ricarica,” penso tra me e me, mentre chiudevo la valvola del gas. Abbiamo bisogno di rifornirci, quindi partiamo alla ricerca del propano in un benzinaio Repsol.
Dovrebbe essere facile, ma non oggi. Sette stazioni di servizio girate prima di trovare una che vende bombole di propano. Il motivo? Il butano regna, il propano è per i perdenti. E proprio oggi tutti aspettano il rifornimento, quindi scorte al lumicino.
Dopo ore , ce la facciamo. E siccome siamo già in giro a far niente, decidiamo di fare anche le operazioni di carico e scarico. Complimenti a chi ha pensato questa soluzione geniale: un’area di servizio a ridosso di una rotonda, dove gli automobilisti ti urlano contro perché hanno la vita più frenetica della tua.
Torniamo al nostro parcheggio, che ormai chiamiamo casa, e ci piazziamo accanto al nostro amico argentino. Il resto della giornata lo passiamo al parco, leggendo. Chiara si butta su Dostoevskij ed io leggo “Il Mondo Nuovo,” che dipinge un futuro distopico: in un mondo globalizzato, tutto sembra perfetto, dalla tecnologia alla produzione di beni, alla felicità perpetua e al consumo incessante. Ma questa felicità ha un costo: la privazione della libertà individuale. I personaggi vivono in un mondo senza famiglia, senza amore romantico, senza religione o cultura tradizionale. Le relazioni sono forzate, e l’amore è scoraggiato. La gestazione dei feti al di fuori del corpo umano è pratica comune, e il consenso sociale è assoluto. Più che un semplice romanzo, sembra un monito per l’umanità attuale.
Axel è rimasto accanto a noi tranquillo per tutto il tempo, trasformandosi in un roditore e apprezzando il nostro regalo di legno.
Il parco intorno a noi è un circo. Corsi all’aperto ovunque, gente che si arrampica su strutture per bambini vestiti come supereroi da Decathlon, gruppi che si allenano con le fruste, funamboli, yoga, pilates, crossfit. E poi la zumba, con un centinaio di persone che ballano su un palco di cemento.
Ci sono anche quelli con i Kangoo Jumps, pattini con molle sotto, boxe, arti marziali, ragazze che danzano sospese in aria. E giocolieri. Noi li guardiamo e ci assale la voglia di far parte di quel mondo, così lasciamo tutto nel camper per unirci alla massa, correndo. Calcoliamo i nostri tempi perché c’è una gara di 7 km in arrivo, e pensiamo di partecipare. Perché no?
La sera, facciamo un giro nel centro di Mislata, dove ci imbattiamo in una processione di zombie che trasportano una statua di qualche santo. E poi la decisione di andare alla corrida. Sì, andremo all’inferno per questo. Gli spagnoli sono contro, ma il turismo e le tradizioni tengono in vita queste barbarie. Andiamo senza pregiudizi e con le parole di Hemingway in testa:
“La corrida non è una gara o un tentativo di gara tra un toro e un uomo. È piuttosto una tragedia; la morte del toro, che è recitata, più o meno bene, dal toro e dall’uomo insieme e in cui c’è pericolo per l’uomo ma morte sicura per l’animale.”
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