Chiudiamo baracca e burattini e ci prepariamo a raggiungere la finca, carichi di buone intenzioni che probabilmente finiranno nel cesso. Prendiamo strade asfaltate, tutte curve e tornanti, e per essere strade di montagna non sono nemmeno male, ma con il nostro bestione è un’altra storia. Più ci avviciniamo, più le strade si restringono, fino a imboccare una stradina che porta alla proprietà. E lì capisci che le buone intenzioni non bastano mai.
Qui comincia il delirio: canali ai lati per far scorrere l’acqua giù a rotta di collo, curve da capogiro, alberi con rami che sembrano volerci decapitare. E noi, con il nostro camper gigante, a schivare tutto come in un videogioco. I rami graffiano il tetto e la carrozzeria, ogni secondo sembra un’eternità. Un vero incubo da portare fino al terreno di F. Ho pensato che questa volta avremmo distrutto tutto. Per fortuna, F, il nostro anfitrione, ci ha dato una mano con le manovre.
L’ultimo tratto è così ripido che il portamoto striscia sul terreno. F, ha risolto con un tavolone di legno per guadagnare quei preziosi centimetri. Arriviamo finalmente in un piccolo spiazzo, dove ci stiamo a malapena. Eccoci qua, accolti da F, 49 anni portati fin troppo bene, tedesco. Arrivano anche i due figli: A, 8 anni, e N, 4 anni. Poi fa la sua comparsa l’Abuela, la nonna, la madre di lei, che non è presente, i due sono divorziati e lei non vive lì.
Facciamo un giro rapido della casa, piccola ma con tutti i comfort, costruita in bioedilizia e seguendo i sacri principi dell’autosufficienza. F ci spiega tutto mentre ci mostra il terreno, con un orto grande e alberi di ogni tipo. Ah, e c’è pure il pollaio. “Mi casa es tu casa”, ci dice con un sorriso. Ma noi, ancora bruciati dall’esperienza passata, non ci facciamo illusioni e restiamo con i piedi ben piantati per terra.
Ci mostra dove dovremo dormire: una yurta, una capanna mongola costruita a regola d’arte, importando i materiali direttamente dal luogo di origine rispettando la tradizione. Bellissima. Ci racconta che mentre costruivano la casa, hanno vissuto qui dentro per quasi un anno. La yurta è enorme e spaziosa, pulita, con un arredamento minimale, ma c’è tutto il necessario per un soggiorno breve, incluso una stufa a legna per le stagioni fredde.
Il resto, dice, a suo tempo. Adesso è l’ora dell’accoglienza e siamo tutti diretti al Rio Grande per darci una rinfrescata. “Mettete un costume e prendete un telo,” senza neanche darci il tempo di pensare. Tutti in macchina, cani compresi. Loro hanno Cuca, una perrita veramente stupenda. Noi e i figli, lui alla guida come un pazzo furioso. Va veloce, parla, si distrae con mille cose senza mai rallentare, fregandosene altamente della macchina. Non rientra nelle sue priorità.
È uno di quei tipi che ti fanno sentire vivo, uno che prende la vita a morsi, senza preoccuparsi delle conseguenze. Le buche? Le prendeva tutte, e rideva. I figli, si aprono come fiori al sole, felici di essere lì in nostra compagnia. Noi ci lasciamo trascinare, senza pensarci troppo, prendendo le cose come vengono senza farsi problemi.
Il cane abbaia e lui, abbaia insieme in sincrono, ridendo, una risata sincera. Arrivati al fiume, dove l’acqua è abbastanza alta per nuotare, prende la rincorsa e si lancia senza pensarci due volte. I figli lo seguono, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Noi, timidi e impacciati, ci adattiamo lentamente alla situazione. A mollo nell’acqua, mentre i figli giocano, lui ci fa domande sulla nostra vita e si racconta. Un’ora e mezza tra risate, giochi e racconti nel nostro spagnolo scadente. L’unica nota stonata è stata quando Axel si è innervosito perché la figlia lo schizzava in faccia con l’acqua. Lui, con un bastone, distrae Axel e spiega alla figlia che non si gioca così con un cane sconosciuto. Axel non avrebbe fatto nulla, ma noi ci siamo cagati addosso; lui invece ha preso tutto con filosofia, ridendo e scherzando. Dovremmo iniziare ad imparare. Sulla via del ritorno, decide di fermarsi in un bar di tapas. Ci offre da bere e da mangiare, dandoci il benvenuto ufficiale. Mille aneddoti della sua vita, raccontati tra un sorso e l’altro.
Ogni cosa ci viene spiegata in spagnolo, quindi o capiamo o capiamo, non c’è molta scelta. Non afferriamo tutte le parole, ma i contesti sì. I figli ci fanno da insegnanti, prendendoci un po’ in giro, e noi stiamo al gioco. Una giornata piacevole, passata in buona compagnia, come non capitava da tanto tempo. Torniamo a casa tardi; lui mette a letto i bambini e ci rimanda le spiegazioni a domani sera. Durante il giorno lavora, quindi domani per noi sarà "descanso".
Ci ritroviamo nella yurta, un ammasso di pensieri e parole che escono come proiettili. Non abbiamo avuto un secondo per riflettere, e ora tutto viene fuori. Dormire? da dimenticare. Nuova situazione, rumori ovunque, qualcosa si muove e colpisce la tenda ogni tanto. Non sapremo mai cosa succede là fuori. Buonanotte, mondo. Che l’avventura inizi. Di nuovo.
Commenti
Posta un commento