1\06\2025
Un altro giorno in questa città. Un ultimo giro, come un rituale di addio. Le solite strade, i soliti negozi, la Muralla del Mar, tutto sembra sussurrare “È ora di andare, amico”. Succede sempre più spesso, passi un giorno in un posto nuovo, assorbi tutto quello che può offrire e il giorno dopo ti sembra di averci passato un’eternità. Ti senti soffocato, hai solo voglia di fuggire, quello che c’era da conoscere, lo conosci, hai solo voglia di andartene, di lasciare tutto alle spalle, di cercare qualcosa di nuovo.
Abbiamo trovato un parco per i vecchi, pieno di attrezzi fitness che sembravano usciti da un episodio di Dr. Nowzaradan. Scalini, attrezzi per la mobilità degli arti, tutto lì a ricordarci la nostra inesorabile decadenza fisica, il tempo è un bastardo senza pietà.
In centro, abbiamo scoperto che le pizzette sfoglie non sono un’esclusiva di Cagliari. Che sorpresa, qualcuno ha avuto l’idea di riproporle qua in Spagna. Meringhe giganti e bomboloni unti e secchi, un insulto alla pasticceria. Ma, ehi, bisogna provare per giudicare, giusto?
Tornati al parcheggio, era pieno zeppo di macchine. Forse una partita? No, solo una festa con musica a tutto volume fino a tarda notte. Abbiamo provato ad entrare, ma il gorilla all’ingresso ci ha detto che era una festa privata. Peccato che abbiamo visto entrare chiunque, anche chi passava di lì per caso.
La notte si profila come un viaggio all’inferno, con la musica reggaeton - il genere musicale più vomitevole del pianeta - che ti perfora le orecchie come un martello pneumatico. È una violenza sonora, un assalto ai sensi che non lascia spazio per altro. Non è musica, è solo rumore, sparato a tutto volume senza alcuna considerazione per chiunque abbia la sfortuna di trovarsi nelle vicinanze.
Il parcheggio e tutta la zona circostante sono un disastro, un campo di battaglia dove la spazzatura vola libera trasportata dal vento. Speriamo di riuscire a svegliarci domani mattina e prendere il ritmo, ma chi sto prendendo in giro? Questa è la vita, un circolo vizioso di delusioni e false speranze.
I rumori, i movimenti, la gente che parla, cammina, fa casino… non riesci a percepire le distanze, tutti sembrano vicini anche se sono dall’altro lato della strada. Ti costringono a rimanere a occhi sbarrati, immobile nel letto, a fissare il vuoto. Sei in allerta totale, come un soldato in trincea.
Non ti permettono nemmeno di leggere un libro, non riesci a concentrarti. È come se avessero rubato la tua capacità di pensare, di riflettere, di essere te stesso. E tutto questo per cosa? Per una festa privata a cui non sei nemmeno stato invitato. Che scherzo crudele è la vita.
2\06\24
E così, dopo un’interminabile notte di insonnia, la luce iniziò a spuntare all’orizzonte. E con la luce, arrivò la mattina. Grande cosa.
Dopo un’eternità di indecisioni, abbiamo deciso di visitare l’“Embalse de la Rambla de Algeciras”, un bacino d’acqua circondato da terreni erosi che sembrano usciti da un film di fantascienza.
La strada per arrivarci è un deserto di terra secca, interrotto solo da qualche coltivazione sperduta. Sembra di essere nel far west, solo che invece di cowboy e indiani, ci sono solo colline sterili e campi coltivati. Le città sono come fantasmi, semi vuote e silenziose come tombe.
Abbiamo parcheggiato in uno spiazzo sterrato, grande quanto un campo da calcio, ci siamo messi in cammino verso quella che speravamo fosse una meraviglia naturale. Dopo aver superato un paese anonimo, siamo finiti tra campi di limoni che sembrano non finire mai.
Poi è iniziato il vero dislivello: il sentiero inizia a salire su una collina che sale e scende come un’onda. Alla fine della strada, inizia una zona montuosa e il sentiero. Arrivati a destinazione, la natura ci ha regalato dei punti panoramici, o “mirador” come li chiamano loro, con vista su tutto il bacino. Il paesaggio era un insieme di burroni e canyon che creano un paesaggio lunare.
Questa zona è conosciuta per le sue forti variazioni di terreno, dovute alle scarse precipitazioni e ai grandi cambiamenti di temperatura. Il terreno è composto d’argilla che con la pioggia e il tempo si è modellata creando queste “dune”.
A differenza del più famoso “deserto di Abanilla”, questo posto è bagnato da una diga che ha un colore azzurro così intenso da sembrare verniciato, non si muove nemmeno. Siamo rimasti lì a osservare ogni dettaglio cercando di imprimerlo nella memoria. E' un paesaggio suggestivo, diverso da tutto quello che abbiamo visto fino a ora. Un vero capolavoro.
Nonostante la breve escursione, la strada per il ritorno è stata lunga e ci abbiamo messo un bel po’ per tornare. Ci siamo poi diretti in un'area camper con un centro informazioni turistico. Ci hanno accolto delle sculture di cui non abbiamo capito il senso, tra cui un’enorme poltrona in pietra con affianco un rocchetto di legno. Abbiamo anche avuto il coraggio di visitare il paese, un posto triste, con edifici in costruzione abbandonati a metà, locali chiusi e distrutti dal tempo e dai vandali. Era come se la vita avesse deciso di andarsene da lì. L’unica attività e movimento erano quelle gestite da arabi. Il resto era solo vecchiume. Una buona cena, una doccia e la notte silenziosa però ci fanno apprezzare di essere lì.
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