21\06\24
Oggi siamo finiti a Salobreña, un altro paese lungo la Costa Tropical. Stiamo tornando verso le Sierra Nevada, diretti alla finca nel nostro primo tentativo da woofer, insieme a due vecchietti che sembrano molto amabili. Abbiamo pattuito una settimana di prova, tanto per vedere se ci va di restare. Se ci piace, bene, altrimenti ce ne andiamo. Le recensioni sulla piattaforma dicono che va tutto bene, le sensazioni sono buone, ma vedremo.
Tornando alla città, ci siamo fermati in uno sterrato a pochi passi dal mare. Il sole batteva forte, ma c’era una brezza leggera che rendeva tutto sopportabile. Il posto ci ha colto di sorpresa.
Il lungomare con la passerella non era troppo caotico o turistico, solo un po’ di gente che andava e veniva, cercando di sfuggire alla monotonia della vita quotidiana.
Verso il centro, i ristoranti e i negozi per gli accessori da spiaggia si mescolavano con i servizi essenziali. La vera sorpresa era il centro storico, che si ergeva su una collina. In cima, il Castillo, costruito durante il dominio moresco, una volta residenza estiva per i sultani nasridi e prigione reale. Le sue mura raccontavano storie di potere e prigionia, di lusso e disperazione.
Salendo per quelle stradine strette e tortuose, ci ritroviamo nel Casco Antiguo di Salobreña. Il quartiere storico, con le sue case bianche moresche, tetti di tegole rosse e vasetti colorati ovunque. Poi c’è il Paseo de las Flores, una passeggiata tra giardini pieni di arbusti, fiori e palme e alberi da frutto tropicali. Abbiamo attraversato la Bóveda, un passaggio a volta che un tempo collegava l’Albaycín alla Medina, parte delle antiche mura fortificate.
Tornando verso la parte nuova della città, ci imbattiamo nel Mirador Enrique Morente. Ci fermiamo lì, cercando riparo dal caldo e scattando qualche foto vista mare. Tornando al camper veniamo molestati dai cani liberi che infestano le strade. Un fastidio costante, quei maledetti cani. Abbaiano, ringhiano, ti seguono come ombre maledette. Scopriamo che appartengono a una signora hippie, uscita da una "grotta" con uno di quei piercing a catenella sul naso. Li richiamava, loro se ne fregavano, continuando indisturbati la molestia.
La sera, decidiamo di fare un giretto in centro, pieno di giovani e turisti, un fiume di gente che scorre tra le vie illuminate. Una banda musicale suona, le note si mescolano con le risate e i chiacchiericci. C’e una bella atmosfera, non caotica. Camminiamo tra la folla, osservando le facce, i sorrisi, le vite che si incrociano per un attimo.
22\06\24
Era una di quelle mattine in cui il sonno ti abbandona senza un motivo
preciso. Ci siamo alzati all’alba. Alle 6:30 eravamo già in riva al
mare, con i piedi nella sabbia fredda e l’odore salmastro che ci
riempiva i polmoni. I pescatori erano lì, figure silenziose e
concentrate, cercando di strappare qualcosa all’oceano per riempirsi lo
stomaco. Le loro reti si muovevano lente, danzando con le onde. Noi li
osservavamo, in silenzio.
L’alba era un’esplosione di colori. Abbiamo
camminato lungo il lungomare, senza fretta, il tempo non ha importanza.
Ogni passo un piccolo atto di ribellione contro la frenesia del mondo. Il caos della vita è stato messo in pausa, anche solo per un
attimo.
Oggi c’era un’atmosfera speciale, quasi magica. All’ora di
pranzo, quella magia si è concretizzata. Ci siamo trovati in un locale,
uno di quei posti senza pretese, e abbiamo ordinato un kebab. Il menu
completo, con patatine e una Pepsi, che pensavo fosse ormai scomparsa
dal mondo, buono, non ci siamo nemmeno sentiti male per la bassa qualità
del cibo. Non serve mangiare caviale per essere felici.
Dopo un altro giro in centro, siamo tornati lungo la
spiaggia, verso sera. C’era quel roccione alto, il Peñón de Salobreña,
che taglia la spiaggia a metà come una cicatrice. Un sentierino stretto e
polveroso ti porta in cima. Siamo arrivati dieci minuti prima del
tramonto, giusto in tempo per vederlo in pieno.
Il più bello fino ad
ora. Il cielo si mescolava con l’acqua, diventando un tutt’uno. Non
capisci dove inizia il mare e finisce il cielo. Poi il rosa si è
trasformato in arancione, fino a diventare rosso fuoco.
Quando ha
iniziato a fare buio, ci siamo girati. Eccola lì, imponente, rossa,
piena e gigantesca…la luna! Spuntava piano piano dai palazzi, fino ad
arrivare in pieno cielo. Ci ha lasciati a bocca aperta. Era talmente
grande e rossa che sembrava di poterla toccare. Siamo rimasti fino a
tarda sera a guardarla. Una giornata vissuta dall’alba al tramonto. E a
noi va bene così, alle volte basta solo questo per sentirsi felici.
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