La sveglia urlava come un dannato. Ci trasciniamo fuori dal letto, facciamo colazione, sistemiamo Axel e alle 10 siamo pronti, puntuali. Di quei due, neanche l’ombra. Ma chi se ne frega, iniziamo lo stesso. Sappiamo già cosa fare, non abbiamo bisogno di loro. E proprio mentre ci mettiamo all’opera, eccoli che arrivano, come se nulla fosse, belli tranquilli, sorseggiando della sbobba verde.
Chiara è già nel suo orticello, strappando erbacce e vangando come se non ci fosse un domani. Io invece mi ritrovo con cinque travi di legno da carteggiare, recuperate il giorno prima. Ho capito che serviranno per una struttura per far arrampicare l’uva nel porticato d’ingresso. Due parole con il “capo” e puff, sparisce. Lo trovo bello tranquillo a fare colazione. Credo che non abbia più nessuna intenzione di fare le cose con me, solo dare ordini. E questo, amici miei, non è un lavoro, ma volontariato e lui, non è il mio capo.
Chiara passa le restanti quattro ore a strappare erbacce, un lavoro totalmente inutile visto che tra un mese qualcun altro dovrà rifare tutto, dato che le piante sono secche come il deserto. Le ore non passano mai e non possiamo nemmeno mettere la musica perché qui non prende.
Il “capo” compra gli utensili alla Lidl, ha pochissimi attrezzi e tutti sbagliati. Oggi non fa nemmeno finta di aiutarmi o almeno spiegarmi qualcosa, l’ho visto fissare il vuoto seduto su una sedia, credo che sia una delle sue attività preferite. Ogni tanto viene a controllare se sto facendo le cose, si innervosisce perché non ho ancora finito, poi esce a comprare stronzate per le sue creazioni di merda. In cinque minuti gli faccio tutto alla cazzo di cane, perché tanto questo è quello che vuole. Qui deve essere fatto tutto male, tanto "no pasa nada". Non importa quanto ti impegni, basta che lo fai prima di subito.
Quando torna mi dà della vernice da passare su dei profili di ferro. Certo, capo. Poi arriva lei e mi dice che quella che sto usando non va bene, mi dà un altro tipo di vernice e mi dice di mescolarla con un pezzo di legno, versandoci dentro quasi un litro intero di diluente. Lo dice con una strafottenza che mi fa girare i coglioni. Sono due completi ignoranti e non sanno neanche loro che cazzo stanno facendo.
Alle tre, molliamo tutto e ci dirigiamo verso il pranzo, la parte più traumatica della giornata.
Seduti in silenzio per quaranta minuti, ascoltiamo i loro versi animaleschi mentre mangiano. Imbarazzante e disgustoso allo stesso tempo. Oggi non tentiamo neanche di avere una conversazione e neanche loro, va bene così. Finito il pranzo, la scena di ieri si ripete: loro spariscono, lasciandoci i piatti sporchi nel lavandino o sul tavolo. Per amor proprio, li laviamo anche oggi, sembra che lo diano per scontato. Oggi siamo ancora più incazzati di ieri, così per sbollire, dopo una doccia, decidiamo di prendere Axel e uscire per una passeggiata.
Ci addentriamo in un bosco fitto di pini e querce e poi un altro mirador, che si affaccia su tutta la valle. In lontananza, un lago e nient’altro, solo distese di verde. Il sole ci saluta in fretta, lasciando nel cielo un tramonto aranciato. Abbiamo tre cani che ci alitano addosso, felici come se avessero trovato il paradiso. Noi, per un attimo, ci sentiamo più leggeri, con la speranza che questa esperienza finisca presto.
Torniamo alla dimora, ceniamo e ci prepariamo per coricarci. Chiara scopre una zecca nei suoi pantaloni. Panico. Si spoglia per controllarsi, ma tutto a posto. Tocca a me. Eccola lì, sulla mia coscia, una zecca che mi succhia. Per fortuna non è ancora entrata. Chiara la toglie con una pinzetta e mi spruzza del disinfettante. Poi è il turno di Axel. Anche lui non supera la prova: zecca nell’interno coscia. Stessa operazione. Tre zecche bruciate e spedite all’inferno.
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