5\06\2024
Il sole brucia nel cielo e oggi è una di quelle giornate in cui tutto va a rotoli.
Noi, con il nostro fedele compagno Axel , ci dirigiamo verso La Playa de los Muertos. Il nome stesso fa venire i brividi evocando tragedie: lì finivano i cadaveri dei naufraghi, trascinati dalle correnti implacabili senza pietà. Una spiaggia come tutte le altre della zona, ma con due massi che la rendono unica, anzi famosa.
Decidiamo di andarci a piedi, perché Axel non ci lascia prendere le bici. Metterlo nel trasportino significa ascoltare il suo pianto straziante per più di un’ora, e con il camper non c’è parcheggio. Siamo lontani, così lontani che ci chiediamo se ne valga la pena. Ma alla fine, ci proviamo lo stesso.
Attraversiamo il lungomare di Carboneras, con la sua zona pedonale e, alla fine del paese, ci ritroviamo catapultati in un’area industriale desolata, un'ambientazione post-apocalittica. Fabbriche gigantesche e merdose si stagliano contro il cielo e il caldo opprimente ci fa sudare come maiali. Camminiamo per oltre mezz’ora, senza vedere altro che cemento e metallo. Finalmente, la spiaggia e la montagna ci accolgono. Non sono il nostro obiettivo, ma una tregua benvenuta dalla strada provinciale, tortuosa e pericolosa, tutta curve e senza spazio per camminare. Non ce la siamo sentita di farla, le macchine sfrecciano a velocità folli.
Decidiamo di seguire un sentiero che sale verso la montagna, senza indicazioni e mal battuto. Solo alcune sporadiche bandierine dipinte ci guidano. Dopo poco abbandoniamo l’idea, non sappiamo dove porta e se mai arriveremo a destinazione. Le scarpe inadatte e il caldo ci hanno sconfitto.
Ci fermiamo sulla spiaggia, dove c'è solo un vecchio nudista, un van nel parcheggio e qualche turista spiaggiato. Ci piazziamo in mezzo alla spiaggia, tra le rocce, passando il tempo tra nuotate, corse e giochi idioti con Axel.
La sera, esploriamo il paese, scoprendo piazzette nascoste e tutte le strade interne con le sue zone residenziali. Abbiamo visto ogni singola via e dopo una giornata camminando ininterrottamente, ci siamo concessi un pacco di gelati sottomarcati. Seduti nel giardinetto del centro del paese, li mangiamo a ruota di cranio, ridendo e godendoci la serata. Anche oggi ci teniamo in forma domani. Buonanotte mondo.
6\06\2024
Lasciamo Carboneras, un posto che ci ha conquistato senza un vero motivo. Ci dirigiamo verso Cabo De Gata, attraversando chilometri di nulla, un deserto di rocce e sabbia. Poi, come un miraggio, appaiono distese di plastica che brillano al sole, serre a perdita d’occhio, visibili persino dallo spazio.
Entriamo nel parco naturale, passando per villaggi di pescatori che sembrano usciti da un western malandato, con case bianche rettangolari che cadono a pezzi. La gente che incontriamo? Rom, o meglio, andalusi,"los Gitanos", persi in un mare di niente con le montagne sullo sfondo. La spiaggia è una distesa infinita di sabbia grigia e mare blu. E poi ci sono le saline e i fenicotteri, come un quadro surreale in questo paesaggio desolato.
In questo posto congelato nel tempo, sorge una chiesa solitaria, la Iglesia de La Almadraba de Monteleva, costruita per servire la comunità dei lavoratori delle saline.
Camper e van ovunque, parcheggiati quasi sulla spiaggia. Una roulotte che vende bibite e un ristorante senza insegne, solo scritte sui muri. Appena parcheggiati, un tipo cerca di venderci del pane, ma si avvicina troppo e Axel inizia ad abbaiare come un matto.
Il vento soffia, fa un caldo infernale, troppo caldo per essere le 11. Facciamo un giro per capire dove siamo finiti. Siamo a "La Fabriquilla", un piccolissimo villaggio.
Dovevamo visitare il faro, un’escursione facile di un’ora, ma il vento diventa insopportabile e il caldo alle 12 sfiora i 40 gradi, sembra di stare in un forno ventilato. Non possiamo tenere niente aperto, né finestre né oblò, il vento li sbatte via. Teniamo la porta aperta con la zanzariera, perché ci sono pure gli insetti per non farci mancare niente.
Il posto è bellissimo, ma sembra che non ci voglia. L’acqua da bere sta finendo e l’arsura si fa sentire.
Due mesi sul mare e solo ora ci viene in mente di fare un bagno. La gente intorno a noi sembra non curarsi del camper che ondeggia come in una tempesta in mare, ma noi ne abbiamo abbastanza. Così, ci siamo buttati in acqua e Axel, il nostro piccolo eroe, ha finalmente imparato a nuotare. Come? L’ho preso e lanciato dove non toccava e lui è tornato indietro nuotando a cagnolino. La prima volta si è offeso, ma noi ci siamo divertiti e abbiamo continuato a farlo a turni. Alla fine, ci ha preso gusto anche lui, divertendosi come un pazzo.
Il suo passatempo preferito è sempre stato salvare legnetti e pietre dall’acqua, ma fino a oggi si limitava a bagnarsi appena le zampe. Oggi, però, ha deciso di fare il grande salto. Ci veniva quasi da piangere dalla gioia per avergli insegnato qualcosa di decente. Alla fine, si è messo a salvare qualsiasi cosa, lanciandosi con prepotenza. Ho provato a fare il morto e lui, questa volta, si è buttato per cercare di riportare me. Mi vuole bene! Beh, a dire il vero mi ha morso il piede e se n’è andato.
Tutto andava bene, finché non arriva un dannato uccello, sguazzando felice e ignaro del disastro imminente. Axel, con i suoi due neuroni in corto circuito, decide che è il momento di diventare un cacciatore: “è una preda e io ora so nuotare”. Parte come un razzo, lasciandoci lì a lanciare urla isteriche. Quando finalmente raggiunge l’uccello, quello, che non è stupido, lo schiva e vola dritto verso di noi, mancandoci per un pelo. Ultimamente sembra che siamo maledetti dai volatili. E Axel? Ritorna tranquillo, nuotando piano piano, come se nulla fosse successo.
Una doccia ghiacciata lungo il mare e via, ci imbattiamo in un paese più grande degli altri lungo la litoranea. Il parcheggio è più riparato dal vento, quindi decidiamo di passare la notte lì. Il peggior errore possibile. Il vento cala appena, ma non abbastanza da permetterci di aprire gli oblò. È già tarda sera e fa ancora un caldo infernale. Andiamo a prendere l’acqua in una bottega e subito ci raggiunge un perro pequeno. Esce da una roulotte di una gitana, che non riesce né a prenderlo né a richiamarlo. Il cane ci segue ovunque, deciso a farci compagnia. Poi facciamo un giro lungo il mare e troviamo un locale aperto: un successone, con dieci persone tutte ubriache. Non ci sarà molto altro da fare qui.
Mentre passeggiamo, abbiamo iniziato a vedere dei fulmini, uno dopo l’altro. Alcuni cadevano in acqua, ma erano così grossi, luminosi e potenti che ci siamo spaventati a morte. Non ne avevamo mai visti di così. Poi, in lontananza, abbiamo notato una palla di fuoco che bruciava tutto, e il vento forte non aiutava la situazione. La vedevamo espandersi rapidamente. Cercando su internet, abbiamo scoperto che si trattava di una zona a 30 km da noi, dove dalle 17 era in atto una tempesta di fulmini, e uno di questi aveva causato un incendio. Siamo rimasti lì per un po’ a guardare, esterrefatti. Poi è iniziata a salire l’ansia e il panico. Continuavamo a vedere lampi che illuminavano a giorno proprio vicino a noi. Ci siamo chiusi nel camper e abbiamo cercato di far passare la notte, anche se non abbiamo dormito niente, tra il caldo e il cielo rosso fuoco dietro e illuminato di fulmini davanti. Alle prime luci, credo che scapperemo veloci da qui.
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