07.06.2024
La notte insonne ci ha lasciato stanchi e assetati di avventura. Almeria, con il suo fascino decadente e il caldo opprimente, ci attendeva.
Il parcheggio sterrato si estende come un deserto di camper, ognuno con la sua storia sbiadita. Alcuni sembrano lì da una vita, finestre rotte e vernice scolorita, testimoni silenziosi di viaggi passati.
Fa troppo caldo per girare la città, così ci siamo rifugiati sotto qualche albero. Il parco comunale? Scartato subito. Il guardiano ci ha cacciati appena ha visto il cane, “no perro”..che schifo, anche al parco ci sembra esagerato. Alla fine, abbiamo trovato un angolo verde davanti a una scuola, con panchine all’ombra. Ci siamo sistemati lì, con il PC sulle ginocchia, a scrivere e pianificare le prossime tappe.
Verso sera, esploriamo la città. Ci imbattiamo nel Cable Inglés, una passerella sopra una vecchia struttura in ferro usata per trasportare carbone. Ora pedonale e turistica, ma Axel non può salire anche qui. Ci ribelliamo e saliamo comunque. La vista del porto e del parco sottostante? Niente di che, chiamarla affascinante sarebbe un’esagerazione. Il giro per il centro? La solita roba trita e ritrita, tranne per la Cattedrale. Costruita sui resti di una moschea, con torri e pareti spesse per difendersi dai pirati. L’interno? Strano ma bello.
L’Alcazaba, imponente e magnifica, si erge sulla città. Una delle più grandi fortezze musulmane in Spagna, ospitava palazzi e moschee. Salire sulle mura è vietato ai cani, così la osserviamo da fuori.
Sotto c’è un parco, da cui si vede tutto, la contempliamo da qui, un confine tra il caos urbano e la natura selvaggia. Un sentiero ci porta alla statua del Sagrado Corazón de Jesús, sulla collina di San Cristóbal. Per arrivarci, abbiamo attraversato quartieri popolari: vecchie case, stradine con casette basse tutte attaccate, gente fuori con le sedie, bambini che giocano a pallone, ragazze incinte che tengono d’occhio i loro venti figli a soli vent’anni, ragazzi senza futuro, vecchi con gli occhi vuoti. L'anima della città, nuda e cruda con le sue facce e i suoi personaggi unici.
Il “peggio” lo vediamo a ridosso delle mura: vie con abitazioni fatiscenti, quasi ruderi, piene di persone e bambini, troppi per una sola casa. Polli sui tetti e spazzatura ovunque. Le vie sono sorvegliate, controllano chi entra e chi esce, è il loro territorio. Un mix tra gitani e arabi.
Sotto la fortezza, botteghine arabe affascinanti e colorate, con scritte in arabo, vendono prodotti tipici e oggetti particolari. Torniamo in centro, passeggiamo per la Rambla principale, i soliti negozi che trovi ovunque. Punkabbestia, barboni e qualche eroinomane spiccano tra la gente. Volti segnati dalla vita.
La notte cala e noi torniamo al parcheggio. Due ragazzi seduti vicino al camper fumano, la loro conversazione sospesa nell’aria calda. Il via vai intorno a noi ci tiene svegli, vigilanti come chi sa che la notte stessa è un predatore in agguato.
8\06\24
Era una di quelle giornate in cui il sole si alza pigro. Avevamo recuperato tutte le notti insonni in una volta sola, un debito da saldare con gli interessi. Le lenzuola avevano ceduto sotto il peso dei nostri corpi e il materasso aveva sospirato di sollievo quando finalmente ci eravamo arresi al sonno profondo.
Ci siamo svegliati tardi, con gli occhi annebbiati e i capelli in disordine. La vita scorreva fuori dalla finestra, indifferente al nostro ritardo. Abbiamo preso la giornata con assoluta calma.
Un giro al mercato e poi una passeggiata lungo il mare. Mentre le onde si infrangevano contro le rocce, noi camminavamo lungo la spiaggia, i piedi affondati nella sabbia umida.
Gli artisti di strada, creavano sculture effimere con la sabbia. Palazzi, draghi, leoni: tutto prendeva forma sotto le loro mani sporche.
Abbiamo raggiunto il porto e poi vagato per il centro, ma nulla ci ha entusiasmato quanto l’Alcazaba, l’unica parte autentica di tutta la città, con le sue mura antiche raccontavano storie di conquiste e di perdite, di vite spezzate e di speranze tradite. Addio al parcheggio con i suoi abitanti e al vecchio sulla sua sedia, fedele guardiano del suo camper immobile.
Superiamo la prima parte del nostro viaggio, attraversando distese infinite di serre bianche come teloni e piccoli centri abitati. Ma quando ci avviciniamo al cuore del deserto, tutto cambia. Qui l’uomo non aveva messo le sue mani: solo natura selvaggia, vento e silenzio.
Il deserto del Tabernas, un lembo di aridità selvaggia e incontaminata. Le dune di montagne e le rocce, circondate da piante di cactus, sembravano emergere dalla terra come antichi guardiani. Era l’unico deserto geograficamente considerato in Europa, eppure aveva una grandezza e una solitudine che ci facevano sentire parte di qualcosa di più vasto. Negli anni '60, questo posto guadagna il soprannome di “Hollywood europeo”. Registi e attori come Sergio Leone, Clint Eastwood, Sean Connery e Sophia Loren vi girano pellicole che tutti noi conosciamo. Ma il deserto non è romantico o epico. È solo un luogo che cerca di sopravvivere, come tutti noi.
Ci fermiamo su uno sterrato immenso, ai margini di un burrone. La vista era diretta, senza filtri né illusioni. Solo il deserto, con la sua aridità e la sua bellezza crudele.
Momenti come questi, quelli che ti ripagano di tutto il resto, sono rari. Li ho contati sulle dita di una mano, eppure quando arrivano, ti fanno ringraziare Dio di essere nato. Ti rendi conto di essere parte del mondo, di aver raggiunto qualcosa che cercavi disperatamente ma non sapevi cosa fosse. E allora tutto si spegne, e tu non puoi far altro che godere di quel momento, cercando di imprimerlo nella tua mente come un tatuaggio indelebile.
Passeremo la notte qui, mangiando fuori, guardando le stelle. Il deserto e noi, spettatori di un’opera silenziosa. Eppure so che anche questa bellezza avrà la sua fine. Le cose belle durano quanto un battito di ciglia, e il vento maledetto è arrivato a ricordarcelo.
Il camper balla al ritmo delle raffiche, e il frigorifero lotta per tenere accesa la fiammella del gas, si prospetta una notte in bianco.
Buonanotte, deserto. Buonanotte, mondo intero. Che il diavolo si prenda cura di voi, perché noi siamo già stati abbandonati da tempo.
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