In quei giorni, il lavoro era sempre lo stesso: irrigare i campi, controllare i tubi, strappare la graminia e nutrire le galline. Ma i momenti migliori erano nel tempo libero. Giocavamo lungo il fiume con Axel e Cuca, visitavamo fattorie con tori monumentali, bestie enormi oltre i 500 kg. Incontravamo il pastore che ogni giorno, alla stessa ora, portava il gregge a pascolare lungo il fiume in secca. Raccoglievamo ceste di arance dal giardino per fare spremute per tutta la famiglia.
Prendevamo lezioni di spagnolo con l’Abuela, che voleva imparare l’italiano. Con un vecchio libro ci aiutavamo a vicenda. Scrivevamo e leggevamo. Alcune ore erano così calde che uscire significava bruciarsi vivo.
La sera, quando il sole si nasconde e il mondo si calma, ci ritroviamo con lui. I figli sono lontani, in vacanza con la madre. Ceniamo insieme, birra in mano, parlando di tutto. Il vecchio tavolo di CARROM diventa il nostro campo di battaglia, un gioco indiano simile al biliardo, ma con pedine e le dita al posto della stecca. Ci insegnava esercizi di respirazione per aumentare la capienza polmonare e rilassarci. Dopo ogni seduta, ci sentivamo come se avessimo corso a perdifiato, poi subito dopo vuoti.
Ci ha dato brevi lezioni con strumenti musicali, Chiara e io ci provavamo con la chitarra e il flauto traverso, ma eravamo negati. Lui, invece, suonava e cantava. Un giorno ci fece una sessione di canzoni in spagnolo, arabo e tedesco. Aveva anche registrato un CD amatoriale con un amico, perché cantava davvero bene.
Inoltre pratica immersioni e pesca con la fiocina. Ci raccontava delle difficoltà delle immersioni e ci mostrava tutti i pesci della zona con un libro. Una volta ha preso una razza e, con l’aiuto di Chiara, la puliscono e poi friggono per pranzo. Era buona, non l’avevamo mai assaggiata prima.
Un altro giorno, preparò il gazpacho con i prodotti freschi dell’orto. Ci sorprese servendolo con cubi di ghiaccio, una bevanda rinfrescante per la merenda. Non so come fanno a mangiarsi sta roba, è veramente una pietanza pesante.
Mentre eravamo insieme, ci raccontava le sue avventure per il mondo, mostrandoci gli album di fotografie di quando era giovane. Lui nella giungla in Messico, dormiva sugli alberi con l’amaca, cibandosi di ciò che trovava. All’inizio con una guida, poi da solo con un amico. Diceva che erano partiti in un periodo pericoloso, con rivoluzioni in corso e controlli militari ovunque. Ma a loro non importava, fragandosene avevano dormito anche dentro un tempio Maya, proibito e pattugliato. Erano riusciti ad eludere le guardie parecchie volte.
Ci raccontava di quando si trovò faccia a faccia con un grizzly in un parco naturale in America. Ci parlava dell’Argentina, dove aveva vissuto per un po’ di tempo, e ci mostrava le foto di quegli anni, accompagnate da oggetti recuperati durante i suoi viaggi: un machete, strumenti musicali, vestiti fatti da artigiani locali. Si apriva e ci raccontava della sua ex moglie. Diceva di aver superato la separazione, ma nei suoi occhi si vedeva ancora la tristezza, non tanto per l’amore finito, ma per il progetto che avevano costruito insieme, che ora portava avanti da solo. Nonostante tutto, ora aveva una relazione felice con una donna che aveva conosciuto 15 anni fa a Gran Canaria. Vivevano una relazione a distanza, ma sembravano felici.
La felicità non viene dalle circostanze esterne, ma da come scegliamo di vivere e apprezzare ogni momento. Facile a dirsi, difficile a farsi. Anche nelle difficoltà, c’è sempre spazio per la bellezza, la connessione e la crescita personale. Lui, in questi giorni, ci sta insegnando queste cose. Anche se sono concetti difficili da digerire per due persone come noi, che hanno sempre pensato che tutto quello che ci succedeva fosse una merda senza speranza. Ma con un buon lavoro di squadra, forse riusciremo a migliorare, un passo alla volta.
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