13.07.2024
Oggi, come da promessa, ci dedichiamo alla costruzione di una scuola per i figli e i figli dei vicini, in un terreno vicino alla finca. Chiediamo perché non li mandano alla scuola del paese. Semplicemente non amano l’insegnamento lì, così preferiscono unirsi tutti e costruire un ambiente naturale, sano, con un insegnante che usa il metodo Montessori.
Questa mattina, F è stanco, presumiamo dal lavoro. Durante la colazione, sparisce ogni tanto. Lo sentiamo lanciarsi sul letto, imprecando, per poi ritornare a finire la colazione. Ci prepariamo e andiamo con lui, cani al seguito. Arriviamo in un terreno recintato, immerso nella natura. C’è un quadrato spianato, con ruote di macchina e trattore come base per la scuola. Sono riempite di sabbia e delimitano il quadrato. La costruzione non toccherà terra, per far passare l’aria.
Controlliamo con la livella il lavoro fatto fino ad ora dagli altri padri. Scopriamo che è tutto in dislivello. Dobbiamo quindi svuotare le ruote dalla sabbia e rifare tutto da capo. F ha un progetto sul cellulare, con misure fatte da un geometra. Non sappiamo perché non siano state rispettate.
Io e F tiriamo su terra da un lato del terreno e la carichiamo sulla carriola. La portiamo dove deve sorgere la struttura. Chiara livella tutto e prova a riposizionare le ruote. Andiamo avanti tutta la mattina. Quando il caldo si fa sentire, prepariamo le assi di legno che serviranno da pavimento, prendendo le misure corrette. Le appoggiamo sulle ruote, come descritto nel progetto. Poi torniamo a casa, è ora di pranzo. Altri padri avrebbero dovuto aiutare, ma non si è presentato nessuno. Tutti con scuse. Questo lo fa imbestialire, oltre al fatto che hanno sbagliato tutto. Nonostante questo, ha sempre una battuta e un sorriso per noi.
Prepariamo il pranzo insieme, con le delizie dell’orto. Poi un bel descanso per tutti. Lui passa molto tempo al telefono per parlare della situazione di oggi e sfogarsi con la compagna. Ci dispiace per lui. Si vede che è provato. Purtroppo noi non possiamo più aiutarlo, perchè lunedì partiremo. Infatti ne approfittiamo per iniziare a preparare il camper. Appena entrati, notiamo un’invasione di formiche. Inizia la nostra guerra per sconfiggerle; stanno prendendo possesso del camper le maledette, attratte probabilmente da un buchino nel contenitore del cibo di Axel.
Dopo aver concluso, passiamo il pomeriggio in giro per il campo e lungo il fiume con i cani. Siamo distrutti dalle poche ore di sonno, ma non riusciamo a riposarci per il troppo caldo. Seguiamo un sentiero diverso che ci porta a un punto panoramico. Vediamo un allevamento di tori monumentali, ma non riusciamo ad avvicinarci. Ci sono troppi cani liberi e preferiamo evitare.
Quando torniamo, F non c’è. È andato a lavorare ancora un po’ alla scuola. Prepariamo la cena e lo aspettiamo. Quando arriva, è distrutto. Facciamo una breve chiacchierata e poi tutti a letto.
14.07.2024
Ci svegliamo tardi, il caldo nella yurta è già un inferno alle dieci. La
stanchezza ci tiene inchiodati al materasso. Entriamo in casa, lui è
già sveglio, la colazione è pronta. Il caffè ci rimette in piedi.
Parliamo
delle prossime tappe con il camper, lui ci suggerisce qualche posto.
Poi ci invita al fiume, quello del primo giorno. Accettiamo, ci
prepariamo, ma prima scattiamo una foto con la Polaroid, la prima dopo
quattro mesi. Vogliamo ricordarci di lui, una brava persona che ha avuto
la pazienza di insegnarci tante cose. Uno scatto, un istante per
congelare il tempo in un rettangolo di carta. La foto si sviluppa
lentamente, come una vecchia storia che prende forma.
Carichiamo
tutto nel cofano: borse e cani. Una volta lì, ci insegna i nomi delle
piante e degli alberi presenti. Raccoglie una carruba e me la porge. Non
ne avevo mai assaggiata una, accetto. Un morso e mi ritrovo con la
bocca impastata, peggio dei cachi farinosi. Uno schifo totale. Lui se ne
accorge e scoppiamo a ridere. L’acqua ci avvolge fresca e limpida,
mentre il sole ci osserva dall’alto. Le cose semplici sono le migliori.
Dopo
un paio d’ore, ci asciughiamo e ci dirigiamo verso un paese vicino. Ci
porta in un bar e ordina birre e tapas. Le birre sono buone, devo
ammetterlo, e le tapas non sono da meno. La fame ci spinge in un
locale argentino. Stanno preparando tutto per la partita, la finale tra
Spagna e Argentina. L’atmosfera è elettrica, tutti sono in attesa. Un
tizio senza corde vocali si avvicina e inizia a fare battute sulla
partita, con un sussurro rauco. F non è interessato al calcio, ma ama
stare in mezzo alla gente. Il vecchio, con la sua voce, dice che
dovrebbe vincere la squadra avversaria. F, con un sorriso sornione, gli
risponde: “Meno male che parli piano, altrimenti qualcuno potrebbe
sentirti e non la prenderebbe bene”. Noi tratteniamo a stento le risate,
soprattutto io, che adoro questo tipo di umorismo. Quando il vecchio se
ne va, ci guardiamo e scoppiamo a ridere come degli idioti. F, ancora
su di giri, racconta la scena alla cameriera, ma lei non la prende bene.
Non ride, anzi, racconta la sua storia, zittendolo e facendoci ridere
ancora di più.
Per cena, ci buttiamo su un’insalata di pomodori
freschi, spezie, noci, pistacchi e avocado. Poi arriva la carne
argentina, tenera e succosa, con patatine e salsa. Non mangiavamo una
carne così buona da una vita. Ogni morso è un viaggio. Torniamo a
casa, stanchi e silenziosi. Restiamo insieme ancora un po’, scambiando
poche parole. Un rifugio temporaneo che sapevamo di dover lasciare. F ci
ha accolto con la sua ospitalità semplice e sincera, e ora era il
momento di dire addio. Ci salutiamo con un abbraccio, promettendoci
di rimanere in contatto. La vita avrebbe preso il suo corso. La
malinconia era presente, ma non ci pesava. Avevamo vissuto intensamente,
e questo era ciò che contava.
La prossima volta, ci saremmo
ritrovati, con nuove storie da raccontare e nuovi sogni da inseguire. Ma
per ora, tutto ciò che avevamo era l’ultima notte, e la promessa di un
futuro incerto.
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