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19-20/07/2024 L' UTOPIA DELLE SCIMMIE

19\07\2024

Direzione Gibilterra. Due ore di strada, tutte curve di montagna. La prima parte, stretta e malmessa, mi ha fatto sudare freddo. Chilometro dopo chilometro, le strade si sono allargate, diventando quasi normali. Abbiamo incrociato solo un paio di macchine, che ogni volta si attaccavano cercando di superarmi. Capisco, quindi appena potevo, mi buttavo di lato e rallentavo. Ma uno, nel superarmi, ha accelerato e mi ha preso lo specchietto in pieno. Tutti i santi del calendario citati anche oggi.
Scesi dalle montagne come Heidi, con il mare che ci fa "ciao" da lontano, troviamo un parcheggio in fondo a una strada, con la Rocca di Gibilterra che ci guarda dall’alto come un vecchio burbero, vicini alla frontiera, siamo a  La Línea de la Concepción. Appena arriviamo, però,due guardie ci bloccano: strada chiusa, festa per tutta la settimana. Perfetto, proprio quello che ci mancava.
La ricerca di un posto diventa un’odissea. Sono le 19:30, la spiaggia dovrebbe iniziare a svuotarsi. Proviamo sul lungomare, bordo strada. Non è il massimo, ma sembra tranquillo. Dopo 20 minuti di giri a vuoto, niente di niente. Ogni spazio è occupato e quei pochi liberi sono troppo piccoli per noi. Ci arrendiamo, cambiamo zona. Incappiamo per caso nel parcheggio dell’ospedale, lontano da tutto. Ci sono altri due camper, quindi decidiamo di fermarci qui. Nessun divieto in vista.
Facciamo il solito giro, controlliamo il territorio e infine decidiamo di restare. Abbiamo passato la giornata al volante, chilometri su chilometri, e ancora niente cibo, lo stomaco brontola. Se non ci vogliono qui, ce lo faranno sapere presto.
La sera arriva, le gambe chiedono movimento. Ci mettiamo in marcia, un’ora di cammino per arrivare a qualsiasi cosa. Determinati, attraversiamo la città, residenziale, tranquilla, grande abbastanza da perdersi. Finalmente, eccoci davanti alla rocca. Non sappiamo cosa aspettarci. Al confine, i controlli di frontiera ci fanno passare dopo averci controllato il passaporto due volte. Fuori, un enorme spiazzo, un deserto di cemento, la pista di decollo e atterraggio degli aerei.
In lontananza, oltre la rocca, grattacieli che si affacciano sul mare, un porto industriale. Proseguiamo dritti, seguendo la massa, cercando cartelli che ci guidino, magari verso un centro storico.
Intorno a noi tutto nuovo, tutto costoso, tutto tecnologico. Hotel di lusso, parcheggi multipiano, casinò, le marche più prestigiose di abbigliamento e macchine, club privati e palazzine nuove di zecca. I cartelli e qualsiasi scritta sono in inglese. Non vogliamo fermarci alle apparenze, così ci infiliamo tra le vie del centro. Niente di speciale, siamo lontani dal concetto di bel posto.
È tardi, torniamo e troviamo la festa di cui ci avevano parlato. Un’area immensa con giostre, un parco divertimenti temporaneo, il più grande che abbia mai visto. Montagne russe, attrazioni di ogni tipo, bancarelle di cibo e giochi, discoteche all’aperto e ristoranti. Ci addentriamo, curiosi. La folla è così densa che si cammina a fatica e Axel sembra sul punto di perdere la testa, ma anche noi non siamo da meno. Sono già le 2 di notte e abbiamo ancora un'ora di cammino da fare, così ci incamminiamo verso casa. Passiamo per il lungomare, ringraziando di aver avuto il buonsenso di non parcheggiare lì. L’umidità è una bestia, la senti sulla pelle, la vedi nell’aria, e la gente è ovunque, troppa gente. Domani mattina presto ci informeremo e vedremo cosa fare. Se è tutto a pagamento (e i prezzi sono da capogiro) e se possiamo entrare con il cane, proveremo a salire sulla rocca. Altrimenti, non c’è molto altro da vedere. L’assaggio che abbiamo avuto finora è stato tutt’altro che entusiasmante.
Bastardi! Mi avevano promesso le scimmie, quei maledetti ,"macachi berberi", selvaggi e liberi! Mi hanno fatto sognare, ma ora tutto sembra una trappola. Eccomi qui, a cercare di capire se vale la pena tutto questo.

20\07\2024

La notte scorsa è stata una battaglia. Ogni singolo rumore mi teneva con gli occhi spalancati, a letto sentivo ogni cosa. Le distanze sono un mistero; sembrava che tutti fossero accanto al camper, anche se erano dall’altra parte della strada. Axel ha abbaiato un paio di volte, mettendomi in allerta. Tutto è andato bene, al risveglio mi sentivo come se avessi combattuto una guerra.
Siamo qui, indecisi su cosa fare. L’uscita di ieri ci ha mostrato un futuro che non ci appartiene, ma ormai siamo qui e ci proviamo. La rocca dovrebbe essere percorribile con il cane, basta stare attenti. Tagliamo per il centro del paese, attraversando zone residenziali con case basse a schiera, una attaccata all’altra, rettangolari. Il vero spettacolo sono i cavi elettrici. Non posso fare a meno di osservarli: grovigli assurdi, penzoloni da tutte le parti, quadri scoperchiati che saltano da una casa all’altra. Alcuni tralicci di legno sono crollati, così hanno creato strutture volanti di legno, appoggiate per terra, in equilibrio, giusto per tenerli su. Un caos organizzato.
Il centro è pieno di gente, soprattutto nei bar. Eccoci di nuovo alla frontiera. Mentre superiamo l’area aeroportuale, sentiamo un suono indefinito. Mi fermo un attimo per fare una foto, e un controllore ci chiama, facendoci segno di muoverci. Appena superiamo il cancello, viene chiuso quasi all’istante. Scopriamo solo dopo che sta per decollare un aereo, e ovviamente sulla pista non ci deve essere nessuno.
Puntiamo verso il centro, con la luce del giorno che illumina le strutture della Seconda Guerra Mondiale: case matte e pezzi d’artiglieria sparsi come vecchi giocattoli dimenticati. Le famose cabine telefoniche rosse, un pezzo d’Inghilterra in Spagna, dicono tutti. Ma a noi sembrano solo una grossa stronzata.
Sappiamo già come andrà a finire, decidiamo comunque di raggiungere la rocca. Saliamo su per delle lunghe gradinate, la città cambia, diventa più fatiscente. E devo essere sincero, mi piace. Almeno sa di umano, di vissuto.
Arriviamo all’inizio del parco e chiediamo informazioni a un tizio che parla velocissimo in inglese, un fiume in piena, cerchiamo di afferrare qualche parola. Sì, possiamo salire con il cane, ma il tizio lo sconsiglia. Con il cane libero le scimmie potrebbero diventare aggressive. E viceversa. Poi c’è il caldo, là sopra è ancora più asfissiante. Tranquillo, non c’è bisogno di dire altro.
Torniamo indietro. Axel è veramente provato dal caldo e anche noi stiamo squagliando male. Il sudore ci cola giù per la schiena, e ogni passo sembra un’agonia. Ma almeno siamo tutti insieme, in questa follia.
Ci siamo seduti sui gradoni all’ombra, cercando di riprenderci da quel caldo infernale. La frontiera è alle nostre spalle, e davanti a noi La Línea de la Concepción. La città non ha niente di speciale, iniziò come un accampamento provvisorio per sostenere le fortificazioni spagnole durante gli assedi di Gibilterra, solo molto dopo fu dichiarata indipendente. La gente qui lavora come frontalieri, attraversando ogni giorno quella maledetta frontiera per guadagnare qualche soldo in più. In Spagna la vita costa meno, e così si arrangiano. Un po’ come facciamo noi con la Svizzera. Domani mattina ce ne andiamo. Questa città fa veramente cagare.


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