La giornata inizia con un pugno nello stomaco. Il parcheggio è occupato da camper, quattro in tutto, compreso il nostro. Ci svegliamo presto, con l’idea di trovare un buco dove lasciare il camper e andare a vedere le famose Dune di Bolonia. Solo 15 minuti di strada, un gioco da ragazzi, pensiamo. Ma i piani sono fatti per essere distrutti.
Prima di tutto, dobbiamo svuotare e riempire il camper. Un’operazione che dovrebbe richiedere 10 minuti, massimo 15 se l’acqua decide di fare la preziosa. Ma c’è sempre qualcosa o qualcuno che deve complicare le cose.
Alle 8 del mattino, il posto era già occupato. Ci rassegniamo e facciamo colazione, osservando gli altri due camper che si mettono in coda. Siamo gli ultimi. I primi ci mettono poco, si piazza l’altro camper. Quattro ragazze che insieme non ne fanno una. Un’ora intera, letteralmente. E sono le 9.
Nel frattempo, noi ribaltiamo il camper, pulendolo da cima a fondo. Tocca agli ultimi e poi a noi. Mi sposto vicino per prendere il posto, con la pazienza che ormai è un ricordo lontano.
Eccoli lì, due stronzi, che nel posto di scarico si mettono a fare le pulizie esterne di gran lusso del camper. Lei, addirittura, si fa lo shampoo. Lui, inchiodato al posto di guida, con il cellulare in mano e noi, come poveri idioti, ad aspettare i loro comodi. Sono le 10, Chiara esplode. Va verso di loro e inizia a urlare in un misto di inglese, spagnolo e parolacce in italiano, tanto per essere sicura che capiscano. Loro ribattono che l’acqua esce piano. Guarda caso, dopo la sfuriata, in poco tempo hanno finito e finalmente si levano di torno. Finalmente tocca a noi, l’acqua esce normale e in dieci minuti facciamo tutto. Dopo più di due ore riusciamo a uscire da quel maledetto posto.
Siamo lungo la strada, quasi arrivati, ma già vediamo che la discesa verso le dune è un inferno di traffico. Chilometri di coda e non c’è modo di tornare indietro. Scopriamo che ci sono lavori in corso, la strada si restringe, si va a passo d’uomo. Non ci sono parcheggi, né per macchine né per camper. Un incubo senza fine oggi.
Giriamo a vuoto, incazzati neri. Un tizio si parcheggia a bordo strada per andare a prendersi le sigarette. La strada è stretta e quei centimetri che sborda ci bloccano. Suoniamo il clacson, ma niente, fa finta di nulla. La goccia che fa traboccare il vaso. Lo ricopriamo di insulti. Basta, ce ne andiamo. Qui è impossibile. Chi se ne frega di queste dune.
Ci fermiamo un attimo per decidere la prossima tappa. Optiamo per Los Caños de Meca, una piccola località balneare sulla Costa de la Luz.
Arriviamo e ci ritroviamo nella stessa situazione: niente parcheggi liberi. I pochi spazi sono un inferno di camper e van, tutti dei residenti. C’è una bella fauna anche qui e dopo l’esperienza di ieri, vogliamo evitare. Rassegnati, troviamo un parcheggio a pagamento. Dieci euro per 24 ore. Il primo parcheggio che paghiamo da quando siamo partiti. Prima o poi doveva succedere.
Il custode ci accoglie. Un ragazzo nero, con due denti enormi tipo zanne e le scarpe Globe, le mie preferite. La musica a palla nel suo chioschetto, dove vende patatine e bevande.
Il paesaggio, crudo e selvaggio, è composto da spiagge battute dal vento, quattro strade polverose e due edifici che d’estate si riempiono di turisti. Fino a poco tempo fa qui non c’era nulla. Qualcuno ha fiutato l’affare, ha visto il potenziale e ha deciso di privatizzare tutto.
Negli anni '60 e '70, gli unici abitanti erano hippie. Ora, molti di loro hanno messo radici qui. Alcuni hanno aperto bazar al chiuso, pieni di mini stand di artigianato. Altri hanno veri e propri negozi. Senza contare gli abusivi, che si piazzano all’ingresso delle spiagge con le loro creazioni: braccialetti, collanine, orecchini. Fumano erba in quantità industriale, suonano la chitarra e, nei tempi morti, creano altre cose da vendere. Vivono così, in un mondo tutto loro.
Il posto è uno spettacolo. Dune di sabbia che sembrano non finire mai e, su una lingua di terra, il Faro di Trafalgar, vicino al luogo della famosa battaglia. Ci arriviamo e decidiamo di piazzarci lì sulla spiaggia, per rilassarci un po’ e far giocare Axel. È il punto perfetto: enorme e con pochissima gente. Solo dopo capiamo il perché. Siamo finiti sulla spiaggia nudisti. Loro non si curano di noi e noi facciamo altrettanto. Cerchiamo di goderci la giornata e il paesaggio, dopo la mattinata appena passata.
Ci fermiamo davanti a un cartello, cercando di decifrare le durate dei sentieri che partono da lì. Un tizio, che prima era nudo accanto a noi, si avvicina vestito, per fortuna, per prendere la bici appoggiata al cartello. Ci fissa mentre parliamo, poi interviene. Un italiano delle Marche. Ha un’aria tranquilla, così ci fermiamo a chiacchierare. Vive lì da anni e ci consiglia un percorso che attraversa il bosco. Poi inizia a raccontarci un po’ di sé e del posto. Ricorda i tempi in cui ogni sera c’era una festa in spiaggia. Falò accesi, gente che ballava nuda sotto le stelle. La spiaggia era un caos di van e camper, tutto era permesso. Ma le cose sono cambiate per via del turismo.
Le navi mercantili hanno portato alghe invasive dal Giappone, creando disastri ambientali. Ora la costa è piena di queste alghe, in alcune zone abbiamo visto ruspe che ripulivano montagne di alghe grandi quanto dune. Ci racconta che l’acqua, un tempo cristallina, ora è torbida. I granchi e i pesciolini che popolavano la riva sono spariti. La conversazione devia su ecologia, tecnologia e, inevitabilmente, sul Covid. Sto cazzo di Covid, che in un modo o nell’altro salta sempre fuori. Siamo tutti rimasti segnati. Lui, ovviamente, è no vax e tira fuori una nuova teoria: il vaccino ci ha cambiati caratterialmente. Io penso che siamo tutti cambiati, sì, ma non certo per colpa del vaccino.
Gli raccontiamo un po' di noi e del nostro viaggio, dei nostri progetti. Ci suggerisce di andare verso Cadice, dove le imbarcazioni di merci sono tante. Comprare, in nero, dai marinai, oggetti importati dal Marocco o farli noi stessi e piazzarci accanto agli altri hippie a vendere. Diciamo che non è proprio nei nostri progetti, anche se a volte ci abbiamo pensato, meglio concentrarsi su altro. Salutiamo il nostro nuovo amico nudista, promettendogli di rincontrarci in centro per una birra magari. Torniamo indietro, dove ci accoglie il nero del parcheggio che suona le maracas tutto contento. Facciamo un giro per il "centro", cioè una via piena di locali e poi ci ritiriamo nel nostro rifugio. Anche per questa sera dormiamo tranquilli.
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