26.07.2024
Il parcheggio è pagato fino alle 13. L’ultimo giro fino al faro ci inganna sulla distanza. Passeggiamo senza fretta, il tempo vola. Da quando siamo partiti, le giornate sembrano durare 5 minuti. Guardiamo l’orologio, è tardi. Corriamo indietro, arriviamo al parcheggio alle 13.01. Il custode ci aspetta, ci fissa.
Iniziamo a sbaraccare, facendogli capire che stiamo andando. Poi vediamo lo scarico e decidiamo di restare altri venti minuti a fare le nostre cose sporche. Si rivela un disagio totale, scomodo da morire. Blocchiamo l’ingresso, lanciando i nostri secchi pieni di merda in un pozzetto di cemento rialzato. Un altro camper vicino chiude la porta disgustato. Salutiamo il ragazzone, adios, e ce ne andiamo.
Ci dirigiamo verso Cadice, affrontando quasi due ore di guida. Raggiungiamo una zona lontanissima dal centro, dove speriamo di parcheggiare il nostro mezzo. Scopriamo che i parcheggi della stazione sono pieni di camper e auto, tutti occupati. Nei pochi spazi liberi non riusciamo a entrare. Proseguiamo verso un altro parcheggio più avanti, completamente vuoto, senza nemmeno una macchina. Poi capiamo il perché: attraversiamo un’area di case popolari fatiscenti. Una bella eroinomane ci accoglie lungo la strada, in preda a un attacco, mentre si spara una pera. Pazienza, Cadice, ti saltiamo.
Lungo la strada, notiamo una spiaggia con un parcheggio pieno di camper lungo la statale. Tentiamo di raggiungerla, ma anche lì non c’è posto. Il destino ha deciso così e noi non possiamo opporci.
Ci dirigiamo verso Arcos de la Frontera, un pueblo blanco che si estende su una rupe affacciata sul fiume Guadalete. Da qui inizia la famosa ruta dei pueblos blancos dell’Andalusia. Troviamo un parcheggio in un’area sterrata.
Arrivati stanchi e affamati, cerco di farmi un caffè, ma il gas è finito. Così, via di nuovo al volante, in cerca di un benzinaio Repsol.
Il navigatore ci fa fare strade a vuoto. La strada principale è chiusa per lavori. Ci vuole far passare per il paese, ma siamo grossi e le strade sono strette. Allunghiamo di molto, ma alla fine arriviamo. Facciamo il cambio e torniamo al parcheggio.
Finalmente riusciamo a visitare questo pueblo. Ai tempi degli arabi, era un bastione difensivo, poi la capitale del regno di Taifas. Ora è un labirinto di strade strette e ripide, con le famose case bianche. Le mura e il castello sono gli unici edifici storici rimasti intatti. Il resto è trasformato in negozi di souvenir e ristoranti per turisti. La storia si perde tra le bancarelle di cianfrusaglie. La modernità inghiotte il passato, lasciando solo un’ombra di ciò che era.
Il castello? Non si può visitare, venduto a degli inglesi. Il famoso arco sul fiume? Chiuso per lavori. Non ci rimane che l'ingresso al museo, pieno di foto storiche e racconti della Resistenza.
Il paese è morto, a parte qualche turista sperduto. Lo giriamo in lungo e in largo, ma non c’è niente di interessante. Ci arrendiamo. Verso sera, il parcheggio si riempie. Di fronte, un bar di tapas con reggaeton a tutto volume. La gente fa casino tutta la notte. Eccoci qua, un’altra notte insonne.
27.07.2024
Se ve lo state chiedendo, sì, non abbiamo chiuso occhio. Uno schifo
totale. Gli ultimi schiamazzi alle 4 del mattino. Il paesino, di giorno
un cimitero, ma quei mille abitanti si trasformano in demoni festaioli
di notte. Facciamo un altro giro, giusto per sgranchirci le ossa, poi
via verso Jerez de la Frontera.
Ci troviamo in un parcheggio immenso.
Si va a spasso per la città, famosa per il suo sherry. Le cantine, chiamate “bodegas”, sono tra le più antiche della Spagna. Il centro è un
concentrato di bar, ristoranti, locali turistici e negozietti. Alcuni
offrono spettacoli di flamenco, ma la maggior parte sono chiusi per
ferie.
Non ci rimane molto da vedere. Ci imbattiamo nell’Alcázar di
Jerez e nella Cattedrale, belle da fuori, ma chiuse . Dopo aver girato
tutta questa cittadina, ci ritiriamo al camper per fare la lavanderia. Mettiamo in moto verso l’area camper più vicina alla nostra
prossima destinazione: La Puebla Del Rio.
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