Sveglia alle 6:30, un trauma. Ci alziamo come morti viventi. La luce della casa ci acceca, ma F è lì, con la colazione pronta. Caffè americano speziato , preparato in una caraffa. Avena, latte di riso o soia, miele e zucchero di canna, una banana. Siamo pronti a scassarci le perchie nell’orto. Iniziamo a strappare la graminia dalla radice, a mani nude , sentire la terra è un piacere perverso. Insetti mai visti, creature di un altro mondo. Tre ore passano in un lampo, sudore e terra sotto le unghie. Chiediamo a F perché non ha messo la pacciamatura . “Non ho avuto tempo” dice, e ora noi lì, tutti e tre, a combattere contro la natura. L’orto sembra infinito, un mare di terra e piante che ci sfidano. Non sappiamo se vedremo mai la fine, la prendiamo sul personale, come se fosse nostro. Vogliamo farlo bene, vedere i frutti del nostro lavoro. F continua a parlare, racconti di vita. Le sue parole si mescolano al suono delle nostre mani che strappano erbacce, un ritmo che ci accompagna. Il